copertina del libro gita di famiglia
Patrizia Galli Zhang racconta una microstoria che porta con sé tutto il respiro della Cina. Parla di un viaggio di tre giorni, fatto insieme al marito Dali e alle figlie, cresciute un po’ a Bologna, la sua città d’origine, un po’ in Cina, la terra in cui si è sposata, per andare con tutta la famiglia a porre una lapide sulla tomba del nonno, al Villaggio della Montagna Cuore di Bue. Una storia senza una struttura forte, sembrerebbe. Ma ogni gesto, ogni nome, assume in questo libro un forte spessore simbolico. Si entra in punta di piedi in un mondo dove i nomi contengono l’essenza della persona, annunciano forza, coraggio, dolcezza. Un mondo in cui le terre dei vivi e dei morti sono legate dal culto degli antenati e dove le tombe sono modelli in miniatura dell’ordine dell’universo. Su tutto regna lo jiang jiu, la regola precisa e tradizionale che produce una scrupolosa ritualità, nel rivolgersi ai familiari secondo una determinata gerarchia, nel disporsi a tavola,
nel bere e nel mangiare. Nonostante la frenesia delle moderne città, la cultura cinese non perde la visione profonda delle cose, filtra la realtà facendo di ogni gesto arte. Patrizia Galli Zhang osserva partecipe oltre i veli dell’occidentale e sente che in questo viaggio passato e presente risultano intrecciati da mille fili. La microstoria della famiglia appare come solo uno di questi fili che, aggrovigliati, fanno la Storia di questa nazione multietnica, multiculturale, complessa e straordinaria.
In post-fazione è pubblicato il bel “Discorso su Gita di famiglia” di Judith T. Zeitlin, docente di letteratura cinese all’Università di Chicago, che conduce a ridefinire i significati più profondi.