Sette sono gli amici che servono le storie, perché sanno che consegnarle ad altri non significa solo mantenerle vive. Le storie vivono comunque: non ci sono abbastanza rovine e pietre e frane e ruderi e inghiottitoi per seppellirle, e sempre si apriranno fessure che ne condurranno la voce per il mondo. L’atto del consegnare, come avviene nel settimo giorno del settimo mese di un anno da non precisare, significa soprattutto trasformare chi ascolta, sapendo che a sua volta si farà servitore: perché le storie mettono radici invisibili e profonde, e i nostri pensieri, e dunque le nostre azioni, muteranno dopo averle incontrate. Lo sapremo solo nei sogni, dove si mostrano le fessure e i cunicoli che accolgono la parte più importante delle nostre vite.
Per conoscere il destino che ignoravamo, non è sempre necessario trovarsi in un luogo che giudichiamo adeguato: un tempo occorreva scendere in grotte e sotterranei e guadare fiumi e respirare vapori, ma non è più così. Le storie sono capricciose: a volte tralasciano i luoghi dove sono nate e a cui, come sempre, hanno lasciato un nome. In questo caso, quei luoghi non sono le forre o i crepacci o le morene o le gole, non il Monte Vettore, non il Pizzo del Diavolo, non la Cima del Redentore, non il lago di Pilato, non il fiume Aso che sgorga dal Monte Sibilla e prende il nome dal dio dei Galli, non il Tenna che ingannò Enea, non il Nera. Non le tre cime dei monti che congiungono la Sibilla al Vettore, Monte Argentella, Palazzo Borghese e Monte Porche che qui vengono considerate il rifugio fatale dove Cloto, Lachesi e Atropo filano le vite degli uomini. Non alcuno dei territori misteriosi dei Monti Sibillini».
di LOREDANA LIPPERINI & ELISA SEITZINGER